Stefano Gamberini: “La Pallavicini è l’espressione dello sport nella Chiesa”
Una vita dedicata con amore e passione allo sport e al volontariato. Da più di 50 anni è al servizio della nostra realtà, una persona che meglio incarna e conosce i valori e le fondamenta dell’Antal Pallavicini. Arriva nel 1967 accompagnato e supportato da uno dei nostri simboli: Don Giulio Salmi. Ecco l’intervista a Stefano Gamberini.
Più di mezzo secolo nell’Antal, che cosa rappresenta per te la Pallavicini?
“La Pallavicini è stata fondamentale per tutta la mia vita, sia per gli aspetti umani che sportivi. Rappresenta l’espressione dello sport nella Chiesa. Come cristiano e cattolico ritengo che lo sport sia uno strumento meraviglioso per avvicinare giovani, i meno giovani e gli anziani. Questo alla Pallavicini si fa molto bene”
Hai avuto l’onore di conoscere Don Giulio Salmi. Molti non hanno avuto la tua stessa possibilità e fortuna. Chi era Don Giulio e chi è stato per te?
“È stato tutto. Don Giulio l’ho conosciuto nel 1967 ed è stata la seconda persona che ho incontrato alla Pallavicini dopo il Direttore prof. Cesare Ottaviani. Un sacerdote eccezionale con un cuore grande, immenso e che voleva bene a tutti. Aveva ben chiaro il fatto che tramite lo sport si potesse fare molto per i giovani, per tutti. In particolare per chi non aveva mezzi, per chi non poteva permettersi un’attività sportiva. Metteva a disposizione la Pallavicini con tutti gli strumenti necessari per fare attività. Don Giulio non era solo ma aveva un bel gruppo di sacerdoti dell’Onarmo che lo coadiuvavano in questa attività pastorale: ricordo don Libero, don Saverio, don Enrico, don Peppino e don Guido. Era in mezzo a noi, ci parlava e si passavano giornate di ritiro anche fuori Bologna in modo eccezionale. Don Giulio mi ha accompagnato in tutta la mia vita famigliare e professionale.
In ogni cosa che facevo mi confidavo con lui. Inoltre è stato proprio lui ad aver celebrato il mio matrimonio con Anna assieme a don Libero Nanno, proprio nella Cappella di Villa Pallavicini nel 1971. Mia moglie Anna ha partecipato con me alla vita della Pallavicini e su richiesta di don Giulio riuscì a fondare la sezione femminile di pallavolo quando in quei tempi il settore femminile era inesistente. In tutte le attività che ho fatto Don Giulio era il mio riferimento fondamentale e costante”
C’è un evento, un consiglio oppure una parola che ti lega a Don Giulio e che ricorderai per sempre?
“Sicuramente quando mi ha sposato e accompagnato nella mia vita di cristiano e di collaboratore della Pallavicini.
Come capo di tutta l’opera devo menzionare il 1975. Lui vedeva molto lontano e ci spingeva a guardare alle cose del mondo. Ai dirigenti suggeriva di insegnare a vedere nel futuro. Lui li definiva “GUARDARE AI SEGNI DEI TEMPI”
In quell’anno vedeva che la Pallavicini doveva essere più vicina ad eventi di promozione sportiva proiettati sul territorio, in particolare al CSI. Questo perché in futuro la Regione e le organizzazioni locali si sarebbero rivolte in prima battuta agli enti e essere parte attiva con il CSI sarebbe stato davvero importante. Così è stato, in tutti quegli anni sono passato al CSI provinciale con vari incarichi e poi nel 1992 sono riuscito a portarlo nell’ambito degli immobili della Villa Pallavicini dove è tuttora. Da lì la collaborazione è stata più stretta.
Mi ha impressionato anche l’accoglienza riservata ai ragazzi del Sud, agli albanesi e agli africani. Insomma era un luogo di accoglienza, oggi semplice da dire ma quaranta anni fa era un’altra cosa”
Da quando sei arrivato ad oggi quanto è cambiata la realtà Pallavicini?
“Partiamo dal fatto che la Pallavicini è sempre quella. È la Pallavicini a Bologna. Tante persone, tanti ragazzi sono transitati alla Pallavicini e ovunque li incontri ti ripetono la nostalgia. Non perché fossero più giovani ma per gli ideali che sono stati trasmessi: quelli di cristiani, di lealtà e tutto quello che comporta. Ovviamente il mondo è cambiato, così come lo sport ma i valori fondanti come il volontariato, la generosità e la vicinanza in quelle persone sono immutati. Questo è il vero valore della Pallavicini”
Lo hai menzionato poca fa, cos’è per te il volontariato?
“E’ un dono preziosissimo che ci viene dato ed è una conquistata che in tanti hanno perso. Dare gratuitamente il di più, quello che può servire ad altri che non hanno le possibilità di fare attività sportiva o di qualunque altro tipo. Il volontariato deve essere gratuito mentalmente e concretamente. Poi è chiaro che all’interno del volontariato ci sono anche dei compensi per le spese sostenute ma questa è un’altra cosa. Non è fare un’opera a fronte di un beneficio economico. Quindi è il volontariato è dare, dare e dare. Senza pensare che ci sia un ritorno immediato o futuro”
Come ti fa sentire questo senso di donare in maniera gratuita?
“Per me è stato fondamentale. Ho sempre avuto, sin dal primo giorno, la fortuna di avere una professione e di poter donare il tempo libero alla Pallavicini. Non ne avevo tanto però tenere separato le due cose per me è stato importante. Fare attività di volontariato mi dava una gioia che altrimenti non avrei avuto. E’ un indipendenza mentale che mi ha aiutato poi nelle scelte della vita”
Sei e lo sei tuttora un uomo di sport. Che significato ha per te lo sport?
“Lo sport nella mia vita è stato fondamentale. É stata una grande fortuna per me avere queste opportunità e me le ha date la Pallavicini. Dall’inizio fino ad oggi, dallo sport a tutto quello che ne consegue. Quindi l’organizzazione, i rapporti con le persone e con la Chiesa e in particolare con la sua pastorale. Credo molto nella pastorale dello sport. Ovviamente anche tutte le diramazioni che ci sono con le altre associazioni sportive, gli enti locali e con tutto il resto. Non avrei avuto altre opportunità nella vita e questo mi ha aiutato tantissimo anche nella mia professione. Io sono stato un dirigente di importanti aziende di trasporti e il retroterra sportivo e di volontariato è stato basilare come ragionamenti e come linguaggio”
Chiudiamo con un appello, un consiglio. Cosa diresti alle nuove generazioni che si apprestano ad entrare o che sono già dentro il mondo Antal?
“Oggigiorno ce ne sono diversi. Avendoli seguiti in tutti questi anni, anche se non direttamente ma come dirigente, sicuramente racconterei la storia di Antal Pallavicini che è importante e quest’anno ricorrono anche i suoi 100 anni dalla nascita. Il nome Antal, in un periodo di guerra fredda, è stato dato con coraggio alla nostra palestra e senza raccontare questo non si va da nessuna parte.
Un concetto che ripeteva costantemente Don Giulio e il suo assistente Don Libero Nanni sul simbolo dell’aquila è che vola in alto e non si perde nelle piccole cose terrene. Quindi guardare allo scopo finale, non se faccio gol domenica o non lo faccio. Allenarsi e allenarsi perché il percorso della vita è piuttosto complicato. Quando si gioca bene ma si subisce un infortunio pesante e bisogna fermarsi poi intervengono altri valori. Questi valori, bisogna dirlo, che noi rappresentiamo sono dei valori cristiani.
Tutto questo viene da un’indicazione della Chiesa bolognese; il Cardinale Lercaro quando ha dato la Villa a Don Giulio Salmi lo ha fatto per questo. I valori cristiani devono essere fondamentali. Come ripeteva spesso Don Giulio bisogna fare molto ascolto e attenzione a quello che dice il nostro Arcivescovo. Questi sono i filoni e se uno non è d’accordo con questo è libero di stare o di andare. Però, se decide di restare, deve capire il perché facciamo questo. Non è un Academy dove si allevano giovani atleti per un futuro meraviglioso e sportivo. No, è una Polisportiva improntata al servizio dei giovani e dell’uomo per la vita e per i cristiani. Questo va detto, altrimenti non ha senso”
Realizzata da Simone Biancofiore, addetto stampa Antal Pallavicini