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Ezio Rossi, L’omelia Funebre

Ezio Rossi, l’omelia Funebre

Omelia Ezio Rossi

Questa palestra accoglie Ezio. Ne accoglie le spoglie al centro del campo dove nascosto dal tappeto che preservarne il  – come il cuore rimane nascosto – è impresso lo stemma della Polisportiva Antal Pallavicini: un aquila. L’aquila è simbolo di libertà e – come dice un post di facebook – “di acutezza della vista. Nella mitologia è un animale che può fissare il sole”.

Questa palestra accoglie Ezio e lo saluta come si saluta un campione al centro del campo per ricevere l’applauso finale. Ecco, la nostra preghiera sia questo pomeriggio un applauso silenzioso. Ezio era schivo, riservato. Non ha mai gradito troppo gli appalusi. Non facciamoli oggi. In tutte le foto che lo ritraggono con un riconoscimento in mano, uno qualsiasi dei tanti ricevuti, lo si vede come impacciato a stare davanti a tutti, a ricevere considerazione e consenso. No, Ezio non gradirebbe. Ezio gradirebbe una preghiera sincera, vera, raccolta, partecipata. 

Tutti conosciamo Ezio. Tutti ne hanno apprezzato le semplici e umili qualità umane, quelle per cui il sorriso era la prima forma di benvenuto in palestra, la disponibilità a fare qualsiasi servizio fosse necessario, il suo esserci fedele e perseverante senza lamentele, con leggerezza. Ezio è entrato in Polisportiva quando c’era don Giulio. Poi, sono seguiti altri Presidenti e direttori sportivi…non importava. Ad Ezio importava esserci per offrire senza ostentazione né tantomeno discorsi il suo contributo alla Polisportiva. E lo stesso vale, per le persone che si succedono in Fondazione: prima don Giulio, don Antonio e poi il sottoscritto…con tutti lo stesso discreto tentativo di mettersi a disposizione.

Tutti coloro che venivano in Polisportiva, compresi dirigenti e atleti di altre società sportive hanno ricevuto un saluto, una cortese accoglienza…Per tutti, per tutto il mondo del basket, Ezio era un uomo buono di quelli semplici, senza finzione.  Tutti avrebbero voluto un dirigente così. Dai più piccoli ai giovani della serie D, i suoi preferiti, per quelli dell’Antal o di altre società  – e lo dico senza retorica, tutti siamo testimoni di quello che sto per dire – Ezio c’era e c’era perché i ragazzi potessero avere accesso al gioco, potessero fare squadra, potessero crescere e compiere scelte nella vita. 

Tutte le società sportive, tutto l’Associazionismo, quelle realtà dei cosiddetti corpi intermedi e che costituiscono il tessuto, spesso nascosto, di una società si fondano sul volontariato generoso, a tratti eroico di alcune persone. Di queste ti viene da pensare “e come faremo senza di loro?”. Il riconoscimento del CONI “Una vita per lo Sport” è istituito proprio per i tanti che sostengono con il loro umile esserci l’attività di centinaia, nel caso di Ezio, di migliaia di ragazzi e giovani.  

Ezio era il volto dell’Antal. Ovviamente della sezione “basket”, in particolare, ma non si poteva non associare l’Antal al garbo e alla discrezione della sua persona. Questo luogo conserverà a lungo il suo ricordo. Forse, senza nulla togliere a don Giulio di cui pure anzi, Ezio era frutto della sua capacità di generare persone per la responsabilità e la cura dell’Opera e della Polisportiva potremmo scrivere:

Ciao Don Giulio, ciao Ezio: siamo qui grazie a voi e nel vostro ricordo.

Al di là del volontariato, in Ezio c’era qualcosa oggettivamente di speciale e forse lo apprezzavamo di più anche per quel suo modo silenzioso e a tratti persino ironico…Questo di più si esprimeva, ad esempio, nel regalare una palla da basket ad un ragazzo, nel portare al cinema, nel fare i compiti, nell’accompagnare tutte le mattine a scuola i ragazzi della Villa che non avevano green pass…. Aveva attenzioni così minute che solo un babbo, un nonno è capace di avere. Ezio aveva plasmato il proprio animo come quello di un nonno. Tutto a servizio senza rivendicare il possesso di niente. Le sue gioie erano le gioie dei suoi ragazzi.

Tuttavia, Ezio era – se mi è permesso dirlo – una di quelle persone che tutti conoscevano e nessuno conosceva. O meglio pochi, avevano accesso alla verità della  sua persona.  

Io ho conosciuto Ezio molto tardi. Sono arrivato alla Palla nel 2017. Per me non sono stati anni semplici. Ezio, tutte le domeniche, dopo la Messa delle 8, mi portava al bar, mi offriva la colazione e insieme commentavamo il giornale. Quei caffè sono stati la carezza con cui Dio ha lenito una certa mia fatica.

Nel 2020 terminando il servizio in Curia che mi portava via molto tempo ed energie, e iniziando la stagione del Covid, ho conosciuto Ezio.   

Ezio era un uomo libero e lieto. 

Era un uomo libero perché dedito alla Pallacanestro e all’Antal, ma non ne era dipendente. 

Il basket era la sua vita, ma la sua vita non si riduceva al basket e alla passione per tutto ciò che ruota attorno a questo sport.

Quando la Polisportiva ha chiuso, come tutte le realtà sportive, per i giorni del lockdown, quando per mesi ha sofferto le restrizioni del coprifuoco e i ragazzi non potevano accedere ai luoghi al chiuso…si poteva immaginare che Ezio, come tanti e più di tanti, patisse. Il basket non era la sua vita. Se fosse stato così, mancando il basket, chiudendo la palestra si sarebbe depresso come di uno che perde tutto ciò che ha. No, non fu così. Ezio aveva un segreto. Un segreto semplice e gigantesco, origine di quella bontà e quella disponibilità umile che gli riconosciamo. Il suo segreto era Cristo. 

Lo fissava come un’aquila fissa il sole. Lo fissava perché in quella luce poneva le ragioni, nascoste ai più, di tanta dedizione. Ezio non era un uomo buono. Aveva anche lui le sue impuntature e i suoi difetti. Ezio era semplicemente un uomo che ha messo al centro del campo della sua vita, Cristo. 

La sua vita era di Cristo e proprio perché di Cristo il basket, come i suoi nipoti, come tutti i ragazzi, erano come figli, erano come nipoti cioè realtà da servire, da amare e far crescere. 

Ho scoperto in questi due anni la fede di Ezio e lui stesso mi confidò che aveva preso sempre più coscienza di Lui. Come un’atleta, a forza di compiere gesti e movimenti, gli diventano naturali, così per Ezio la partecipazione alla Messa settimanale e poi sempre più a quella quotidiana gli avevano reso familiare Cristo. 

Era un uomo lieto perché aveva trovato il senso di tutto.

«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te».

Al Padre è piaciuto rivelarsi ad Ezio. Noi speriamo – lo facciamo con la nostra silenziosa preghiera – che come un’aquila vola in alto, così Ezio raggiunga il più alto dei Cieli senza limitarsi a fissare il sole, ma a poterlo abbracciare. 

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